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05/06/1997


ultimo aggiornamento:  08/10/2011








I dispositivi ultravioletti per il trattamento dell’aria

Generalità

La porzione ultravioletta dello spettro elettromagnetico possiede delle caratteristiche utilmente sfruttabili in numerose applicazioni. In particolare, nel trattamento dell'aria, è importante la capacità dei raggi ultravioletti di interagire con determinate specie chimiche a livello molecolare. Infatti, l'azione biocida della radiazione ultravioletta di tipo UV-C (cioè avente lunghezza d'onda compresa tra 280 e 100 nm) dipende dal danneggiamento delle molecole di DNA del microrganismo esposto. Gli ultravioletti a lunghezza d'onda maggiore, UV-A (da 400 a 315 nm) ed UV-B (da 315 a 280 nm), pur essendo meno “energetici”, possono comunque causare l'inattivazione dei microrganismi più sensibili attraverso altri meccanismi d'azione (stress ossidativo). Diverse molecole inquinanti sospese nell'aria possono essere modificate dall'azione dei fotoni ultravioletti, oppure questi possono promuovere o accelerare delle reazioni di ossido-riduzione in presenza di determinati catalizzatori, un fenomeno attualmente sfruttato nei filtri di tipo fotocatalitico utilizzati in alcuni moderni dispositivi per il condizionamento dell'aria.

Le lampade germicide

Per una fortunata combinazione, la frequenza di emissione caratteristica delle lampade ai vapori di mercurio a bassa pressione (253,7 nm, generalmente arrotondati a 254) è praticamente coincidente con quella di massima inattivazione dei microrganismi (intorno ai 265 nm, con un intervallo che si estende all’incirca da 220 a 300 nm). In pratica, le comuni lampade fluorescenti sono fondamentalmente dei dispositivi emettitori di raggi ultravioletti, appartenenti alla banda UVC dello spettro elettromagnetico, i quali devono essere convertiti a luce visibile da uno strato di fosfori applicato alla superficie interna del tubo in vetro di contenimento. Nelle lampade germicide, invece, il flusso di ultravioletti è libero di fluire verso l’esterno, perché il tubo di contenimento è privo di fosfori ed è costituito da un materiale permeabile agli ultravioletti, il quarzo, al posto del comune vetro da lampada, opaco a questa frazione spettrale. Durante il procedimento costruttivo, dopo avere praticato il vuoto, viene immessa nel tubo di quarzo una piccola quantità di gas nobile (Argon), insieme ad una minuscola goccia di mercurio (pochi milligrammi). Data la bassa pressione presente all’interno, il mercurio liquido si trova in equilibrio con i propri vapori, che permeano l’interno. Alle due estremità sono presenti due elettrodi formati da una spirale di tungsteno (catodi) ai quali viene applicata una corrente di accensione iniziale, che ha il compito di innescare l’emissione di elettroni per effetto termoionico, con l’aiuto di speciali sostanze depositate sul filamento spiraliforme. Gli elettroni emessi provocano la ionizzazione del gas, che diventa elettroconduttivo, innescando una scarica tra i due elettrodi. La corrente iniziale viene abbassata automaticamente dall’alimentatore ad un valore corrispondente a quello di normale esercizio, stabilizzando la scarica. Il notevole flusso di elettroni che scorre tra gli elettrodi investe violentemente gli atomi di mercurio presenti sul percorso, con l’effetto di portare gli elettroni degli orbitali più esterni ad un livello energetico più elevato, instabile. Quando gli elettroni del mercurio ricadono al loro livello abituale, l’energia accumulata viene ceduta sotto forma di radiazione elettromagnetica ultravioletta, con un picco di lunghezza d’onda a 253,7 nm (per circa l’85% dell’energia radiante totale). Una parte dell’emissione possiede una lunghezza d’onda inferiore (185 nm), importante, come vedremo più avanti, per la sua proprietà di indurre la formazione di ozono a partire dall’ossigeno atmosferico, mentre nel visibile viene emessa solo una debole luminosità azzurrina.
Ogni modello di lampada germicida è caratterizzato da una curva tipica di intensità radiante, espressa come potenza irradiata in W per unità di superficie in m2, per un certo intervallo di distanze dal bulbo emettitore. Questa curva è un dato indispensabile per un corretto dimensionamento, e deve essere riportata nella documentazione del costruttore, insieme alle curve di variazione della potenza in funzione dell’invecchiamento e della temperatura di lavoro.

Applicazioni negli impianti

Negli impianti canalizzati, gli emettitori di raggi ultravioletti possono essere installati in diverse localizzazioni, principalmente all'interno dei canali ed in corrispondenza delle unità di trattamento. In genere, è consigliabile privilegiare l'installazione nelle UTA, dove è maggiore la probabilità di sviluppo per muffe e colonie batteriche (ad es. Legionella), a causa della probabile presenza di condensa. Inoltre, nelle unità di trattamento vi sono condizioni più favorevoli dal punto di vista della velocità dell'aria, che rappresenta uno dei fattori più critici per un efficace dosaggio dell'irradiazione (determina la durata dell'esposizione sui microrganismi in transito). Infatti, è relativamente semplice “illuminare” con una dose efficace una superficie fissa; molto più complesso è invece il trasferimento di una dose efficace di ultravioletti su un corpuscolo aerotrasportato, che può attraversare la zona illuminata dalle lampade per una frazione di secondo. Per questo motivo, la maggior parte delle applicazioni è dimensionata per ridurre il più possibile la presenza di contaminanti biologici sulle superfici degli scambiatori termici e dei filtri meccanici, mentre la sterilizzazione vera e propria dell’aria in transito è riservata ad alcune situazioni molto esigenti nei settori sanitario ed alimentare, oppure nell’ambito della sicurezza. Quando è necessario trattare il flusso d’aria, la velocità deve essere più contenuta possibile, e quindi le sezioni devono essere adeguatamente aumentate, formando dei veri e propri plenum. Ciò significa che le applicazioni di questo genere su impianti esistenti (retrofit) sono molto difficili da effettuare, perché non ci sono mai, o quasi mai, gli spazi tecnici necessari, a meno che ci si trovi in presenza di portate molto limitate.
Per quanto riguarda l’installazione delle lampade UVC per prevenire la formazione di colonie di microrganismi sulle superfici interne delle UTA, è consigliabile utilizzare lampade disposte con l’asse maggiore parallelo alle superfici da trattare, disposte in modo da illuminare uniformemente tutta l’area critica da trattare. Le batterie di scambio termico devono essere irradiate su entrambi i lati (in caso di spazi insufficienti, privilegiare comunque l'installazione a valle), mentre per i filtri è in genere sufficiente trattare il lato di uscita dell’aria. Tenendo conto dei numerosi fattori che tendono a diminuire la resa delle lampade nel tempo (invecchiamento dei catodi, assorbimento del mercurio, opacizzazione del bulbo, sbalzi di temperatura, accensioni frequenti ecc.), è necessario prevedere un dimensionamento abbondante del livello di irradiazione iniziale. In alcuni casi, la documentazione fornita dal costruttore contiene tutti gli elementi utili ad un corretto dimensionamento (dati prestazionali della lampada, formule di calcolo, accorgimenti utili per l’installazione): in altri casi, i dati disponibili sono del tutto insufficienti (succede spesso con fornitori non specializzati, possibilmente da evitare). Se non si è sicuri di quello che si sta facendo, è indispensabile ricorrere a uno strumento in grado di misurare con precisione l’intensità di irradiazione UVC sulle superfici da trattare, per verificare il valore medio del campo in µW/cm2. Un buon valore iniziale di riferimento, per essere sicuri di inibire a lungo lo sviluppo della maggior parte dei contaminanti biologici, è pari ad almeno 50 ÷ 100 µW/cm2.

Applicazioni in ambiente

Negli ambienti dove è necessario diminuire la presenza di contaminanti biologici, come ad esempio locali affollati con probabile presenza di persone affette da malattie a trasmissione aerogena, è possibile intervenire efficacemente con illuminatori UVC ambientali, in grado di mantenere una densità di irradiazione sufficientemente elevata al di fuori della zona occupata dalle persone (che non devono mai essere esposte direttamente). Fanno eccezione alcuni locali sanitari o industriali, dove il personale deve essere fornito di appositi indumenti protettivi, maschera totale e guanti compresi. Su alcuni mercati cominciano a diffondersi delle speciali plafoniere progettate per irradiare con gli ultravioletti la zona prossimale al soffitto, presupponendo che, per i normali movimenti convettivi, tutto il volume d’aria dell’ambiente sia destinato a transitare nella zona trattata. Naturalmente questo non accade quasi mai, tranne in casi ideali. Spesso si irradia la zona di diffusione dell’aria proveniente dagli anemostati degli impianti canalizzati, ma è assai difficile ottenere un dosaggio sufficiente a sterilizzare effettivamente l’aria in transito in questa zona, se non rispettando rigorosi limiti di velocità del flusso. Nella tipologia di locali con personale “protetto”, si possono installare senza rischio anche sistemi di irradiazione ultravioletta nella zona prossimale al pavimento, per trattare il particolato più grossolano che precipita a terra, oppure sistemi ad irradiazione diretta nell'intero volume ambientale. Per inattivare gli aerosol più pericolosi, come ad esempio in presenza di micobatteri tubercolari, l’intensità di irradiazione nella zona trattata deve essere mantenuta tra i 30 e i 50 µW/cm2: per ottenere questo risultato, una regola empirica, ma verificata sul campo, prescrive una potenza installata di 30 W per ogni 18 m2 di superficie (es. soffitto). Un aspetto fondamentale da tenere sempre presente riguarda il rischio di esposizione accidentale di persone non protette: bisogna sempre verificare, con un’adeguata strumentazione (radiometro UV portatile), che nella zona occupata non sussistano livelli pericolosi di irradiazione spuria o riflessa (non si devono superare i 0,2 µW/cm2 all’altezza degli occhi, per una durata di esposizione non superiore a 8 ore).

Determinazione del dosaggio e dimensionamento

Ogni microrganismo possiede una propria sensibilità specifica all’irraggiamento UVC. In letteratura esistono diverse tabelle che elencano il valore individuale, per le principali specie batteriche, fungine e virali, del coefficiente “k”, espresso in m2 trattabili per ogni Joule (Watt per secondo) irraggiato. Più basso è il valore di k, maggiore è la resistenza del microrganismo ai raggi ultravioletti. Tale indice si può riferire al microrganismo in aria oppure su una superficie, e deve essere utilizzato all’interno di una formula di dimensionamento che tenga conto di tutte le variabili in gioco. Esistono diverse formule in letteratura, e la loro descrizione, piuttosto che la convenienza di utilizzarne una in particolare per determinate situazioni, è un tema troppo complesso per essere affrontato in questa sede. Di maggiore utilità immediata è l'indice D90, cioè la dose in J/m2 necessaria per eliminare il 90% di una particolare popolazione batterica. Dovendo trattare delle superfici, utilizzando la curva di intensità radiante delle lampade fornita dal costruttore, è relativamente facile verificare se sulle superfici irradiate può sussistere il livello energetico equivalente al D90 prescelto. Molto più complessa è la determinazione della dose assorbita dai microrganismi trasportati dal flusso d’aria, perché entrano in gioco molte altre variabili (disomogeneità della distribuzione dei bersagli, turbolenza del flusso, variazioni nella riflettività delle pareti, ecc.). In generale, si possono ottenere dei risultati soddisfacenti verificando che la dose irradiata a livello delle pareti del plenum, in cui sono contenute le lampade, sia adeguata (come se si ricercasse il solo trattamento delle superfici), cercando di tenere una velocità dell'aria di progetto più bassa possibile. Infatti, al crescere della velocità, non solo diminuisce notevolmente la dose di UVC assorbita dai microrganismi, ma si riduce in modo sensibile anche il rendimento della lampada esposta al flusso (windchill effect). In pratica, è del tutto sconsigliabile prevedere velocità dell'aria superiori a 1 m/s. Inoltre, è utile prevedere l’utilizzo di una o più lampade tubolari poste centralmente alla condotta, con l’asse maggiore coincidente con la direzione del flusso. Ad esempio, se vogliamo eliminare dal nostro flusso d’aria l’agente della tubercolosi, il Mycobacterium tubercolosis, caratterizzato da un valore D90 pari a 26,7 J/m2 (per le superfici), verificando di avere effettivamente almeno questo valore sulle pareti di un plenum lungo un metro, con una velocità dell’aria pari a 1 m/s, è intuitivo che avremo sicuramente una dose erogata, nel volume del flusso, maggiore del valore misurato a livello delle pareti, che rappresentano la superficie più lontana dalle lampade. Ricordiamo che il valore che troviamo sulla curva di potenza irradiata o il valore letto su un radiometro UVC, è espresso in W/m2 (o in µW/cm2): per trasformarlo nel valore di energia erogata, dovremo moltiplicarlo per il tempo di esposizione in secondi, che dipende dalla velocità dell’aria e dalla lunghezza del percorso irradiato. Nel nostro esempio, utilizzando un plenum di 1 metro e una velocità dell’aria pari a 1 m/sec, il tempo di esposizione sarà di 1 secondo, quindi i due valori coincideranno. Bisogna sottolineare che l’energia erogata non corrisponde mai alla dose effettivamente assorbita dal microrganismo, che è sempre minore (per effetti di mascheramento, turbolenza, ecc.). Per questo motivo, si dovrà aggiungere al valore teorico almeno in 10÷15% di margine in più.
Le spore di muffa sono molto più resistenti ai raggi UVC rispetto a virus e batteri, perciò un sistema dimensionato su questi ultimi non ci tutelerà dalla contaminazione da muffe. Viceversa, dimensionando un sistema per eliminare le muffe, automaticamente saremo protetti nei confronti dei rimanenti microrganismi. Purtroppo, l’inattivazione della maggioranza delle spore fungine richiede dosi di UVC tra le cento e le mille volte superiori rispetto alle più comuni forme vegetative batteriche.

Fattori che influenzano l’efficacia e la vita operativa delle lampade

Le lampade germicide a bassa pressione sono degli apparati tecnicamente abbastanza semplici, e soffrono l’influenza di una moltitudine di parametri: l’invecchiamento, la temperatura, l’umidità relativa, la polverosità e la velocità dell’aria, sono i principali parametri peggiorativi che possono ridurre drasticamente l’emissione e/o il trasferimento dell’irradiazione sul bersaglio, fino a comprometterne completamente l’efficacia. Quindi, prima di progettare un’istallazione, occorre consultare attentamente la documentazione del costruttore, che deve fornire tutti i dati (molti notevolmente diversi da lampada a lampada) necessari a compensare questi effetti negativi e a prevedere una corretta manutenzione. Un aspetto molto importante, quasi mai tenuto in considerazione, è rappresentato dagli alimentatori. I moderni alimentatori elettronici, che hanno quasi del tutto soppiantato la coppia starter e reattore induttivo generalmente usata fino a pochi anni fa, sono molto efficaci (e capaci di compensare alcuni dei fattori negativi elencati in precedenza) ma sono molto sensibili al calore, che producono essi stessi in abbondanza. Devono quindi essere sempre installati in zone ventilate e lontane da fonti di calore, quindi opportunamente distanti dalle batterie riscaldanti delle UTA, altrimenti possono danneggiarsi irrimediabilmente in breve tempo.

La produzione di ozono

Come abbiamo visto precedentemente, le lampade ultraviolette a bassa pressione emettono prevalentemente alla lunghezza d’onda di 253,7 nm, ma sono caretterizzate da un secondo picco di emissione, di minore entità, a 182 nm. A quest’ultima lunghezza, i raggi UV hanno la caratteristica di interagire fortemente con le molecole di ossigeno atmosferico (O2), provocandone la rottura e la successiva ricombinazione sotto forma di ozono (O3). A livello costruttivo, è possibile fare in modo di bloccare o no la fuoriuscita della frazione ultravioletta a 182 nm, utilizzando una diversa qualità di materiale per la realizzazione del bulbo della lampada. Molti costruttori producono la medesima lampada UVC nelle due versioni, con e senza la possibilità di produrre ozono. La presenza di ozono può potenziare gli effetti germicidi delle lampade ed esercitare un buon effetto deodorizzante, ma rappresenta un fattore di rischio non trascurabile per le persone: l’uso delle lampade UVC producenti ozono è quindi riservato ai sistemi chiusi (UTA e condotte), verificando che tutto l’ozono prodotto reagisca nel sistema senza propagarsi nell’ambiente. L’utilizzo nei sistemi aperti (nei locali confinati) è ammissibile solo in assenza di persone, oppure a condizione di non superare mai il limite di concentrazione stabilito per l’ozono in ambiente (0,05 ppm per un massimo di 8 ore di esposizione). Il fortissimo potere ossidante dell’ozono può danneggiare rapidamente le guarnizioni ed il rivestimento isolante dei cavi elettrici nelle vicinanze delle lampade, a meno che tali componenti siano stati realizzati con appositi materiali ozono-resistenti.

Innovazione in corso

Dopo molti anni di stasi, i dispositivi ultravioletti per il trattamento dell’aria stanno attraversando un periodo di netta evoluzione. Molte lampade della generazione più recente offrono prestazioni migliori ed una vita operativa maggiore, grazie anche all'impiego degli alimentatori elettronici. Iniziano ad arrivare sul mercato i primi esempi di generatori UVC completamente allo stato solido, realizzati con diodi luminosi (LED), molto promettenti, ma per ora relegati nel settore delle potenze medio-piccole. Forse l’innovazione più importante è quella che vede i raggi ultravioletti usati contemporaneamente come germicidi e come fonte di energia per l’ossidazione catalitica degli inquinanti preseti nell’aria: alcuni costruttori cominciano a proporre unità di trattamento dell’aria, in cui le superfici illuminate dalle lampade UVC sono trattate con vernici catalizzate, trasformando così filtri e batterie di scambio termico in veri e propri reattori catalitici. L’evoluzione in corso non riguarda solo il campo tecnico, ma anche il settore normativo: il TC 2.9 dell’ASHRAE negli Stati Uniti, ed il SC05/GC02/GL02 del CTI in Italia (una volta tanto in prima linea, non come semplice mirror group), sono i due gruppi di lavoro attualmente impegnati nella redazione delle nuove norme sui dispositivi ultravioletti per il trattamento dell’aria, uno strumento indispensabile per gli addetti ai lavori e per coloro che si affacciano da neofiti a questa affascinante tecnologia.

Bibliografia

“Ultraviolet Lamps Systems”, Chapter 16, ASHRAE Systems and Equipment Handbook, 2008

"General Guideline for UVGI Air and Surface Disinfection Systems"; “Guideline for Design and Installation of UVGI In-Duct Air Disinfection Systems", IUVA, International Ultraviolet Association, 2005


a Generalità
a Le lampade germicide
a Applicazioni negli impianti
a Applicazioni in ambiente
a Determinazione del dosaggio e dimensionamento
a Fattori che influenzano l'efficacia e la vita operativa delle lampade
a La produzione di ozono
a Innovazione in corso
a Bibliografia



L’emissione caratteristica delle lampade a vapori di mercurio a bassa pressione, nella banda UVC dello spettro elettromagnetico, coincide quasi perfettamente con la lunghezza d’onda più efficace per l’inattivazione dei microrganismi (254 nm), individuata su una curva ricavata sperimentalmente.




La struttura delle lampade germicide più diffuse è molto simile ai normali tubi fluorescenti, fatta eccezione per l’assenza dei fosfori che convertono gli ultravioletti in luce visibile e per l’utilizzo di un tubo in quarzo, permeabile agli ultravioletti, al posto del vetro.




Nelle unità di trattamento aria, le lampade UVC devono essere collocate in modo da irradiare efficacemente le superfici uscenti, rispetto alla direzione del flusso d’aria, delle batterie di scambio termico e dei filtri. Un'errata collocazione o un errato dimensionamento della potenza delle lampade possono rendere completamente inefficace l’applicazione.




La temperatura di esercizio delle lampade può influire molto sul rendimento, un aspetto da compensare nel calcolo del dimensionamento. Gli alimentatori soffrono particolarmente le alte temperature e devono essere sempre installati lontano dalle batterie di riscaldamento.




L’azione delle lampade UVC deve sempre essere protetta e rinforzata da un’adeguata filtrazione dell’aria. Per questo è indispensabile rispettare i requisiti minimi di filtrazione previsti delle norme UNI EN 13779 e 10339 a livello di presa d’aria esterna, di unità di trattamento ed eventualmente dei terminali.




In ambienti con particolari esigenze di disinfezione, è possibile mantenere un adeguato campo di irradiazione ultravioletta nelle zone prossimali al soffitto o al pavimento, in modo da trattare l’aria che scorre in queste zone per convezione termica o per ventilazione meccanica. Le persone non devono mai essere esposte alla radiazione diretta, se non protette da appositi indumenti.




In presenza di occupanti non protetti, è possibile utilizzare degli irradiatori ultravioletti ambientali, a patto di verificare accuratamente l’assenza di irradiazione significativa nella zona occupata mediante rilevazioni strumentali.




Un esempio di lampade UVC installate in una canalizzazione. In questo tipo di applicazione è necessaria una densità di irraggiamento molto elevata, data la sezione ridotta, e quindi, un tempo di esposizione contenuto a causa della velocità dell’aria relativamente elevata.




Per la disinfezione estemporanea degli ambienti si utilizzano degli irradiatori UVC mobili di elevata potenza. Questi apparecchi sono in genere dotati di un timer per l’azionamento temporizzato e di dispositivi di sicurezza (sensori di presenza) per evitare l’irraggiamento accidentale delle persone.




I raggi UVC sono particolarmente efficaci nel promuovere l’ossidazione degli inquinanti organici depositati sulla superficie di appositi collettori o di fibre filtranti, tramite l’attivazione di particolari catalizzatori. La maggior parte delle reazioni è mediata dalla formazione di radicali liberi fortemente reattivi, provenienti dalla scissione di molecole d’acqua.
1. l’urto dei fotoni ultravioletti provoca il rilascio di un elettrone libero (carica negativa) e di una carica positiva da parte del catalizzatore;
2. in presenza di molecole d’acqua disponibili, le cariche provocano la formazione di radicali liberi (ioni idronio ed ossidrile);
3. i radicali reagiscono con i depositi di materiali organici, neutralizzandoli;
4. residuano i prodotti di reazione, in condizioni ideali formati da anidride carbonica ed acqua: in realtà la carenza di reagenti o un tempo di reazione insufficiente (soprattutto per errato dimensionamento) possono portare a intermedi potenzialmente tossici.




Esempio di radiometro portatile per la determinazione dell'irraggiamento UV-C sulle superfici trattate, corredato dell'apposita sonda di lettura. Solo una misura strumentale, da ripetere periodicamente, può garantire il raggiungimento di un'intensità di irraggiamento veramente efficace.
 
 
 

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